Qualcuno di voi, soprattutto chi mi conosce meglio, mi avrà sicuramente più volte sentito parlare di OMAMORI.
“Omamori” è il termine giapponese usato per indicare un amuleto/portafortuna, in vendita presso i templi buddhisti e shintoisti del Paese. Un omamori non è altro che un sacchettino in preziosa stoffa ricamata al cui interno sono contenuti cartoncini o pezzi di legno con preghiere tipiche, le cosiddette emas. E’ un mistero cosa in esse sia scritto ed aprire un omamori equivale ad una sorta di sacrilegio che, si dice, abbia come conseguenza il liberarsi e scatenarsi delle forze negative alle quali l’amuleto intendeva opporsi. Pertanto un omamori è un oggetto sacro per la cultura giapponese.
Ogni omamori, inoltre, è specifico per una determinata area dell’agire umano: ce ne sono di tutti i tipi, da quelli prettamente per lo studio, l’amore, la guida, la salute, le nozze, a quelli più generali che scongiurano le disgrazie e garantiscono la buona sorte.
Da sempre appassionata alla cultura orientale, insieme ad una mia cara amica, sono venuta a conoscenza dell’esistenza di questi amuleti diversi anni or sono, per caso, guardando un horror giapponese ( il primo di una lunga,lunga serie…). La ricerca su cosa potessero mai rappresentare tali amuleti che, tra l’altro, non occupavano affatto una parte sostanziale nel film, partì quasi immediata e subito, di pari passo col crescere dell’interesse, sorse anche il desiderio di averne uno.
Ovviamente in Italia un tale oggetto è introvabile oltre che sconosciuto e pochi sono anche i siti web che ne effettuano la vendita online. Quel che colpisce è che i pochi venditori siano dislocati dei più diversi Paesi e continenti, ad eccezione del Giappone, fatto che, come giustamente sottolineato da un amico, denota probabilmente, l’effettivo valore di sacralità che i giapponesi attribuiscono agli omamori.
Fatto sta che, dopo anni di ricerche ed attese ( inframezzate da sprazzi di incredulità quando, girando per quel di Napoli, trovai la prima copia di un omamori, ormai ribattezzata l'”omamori tarocco”, che non potei fare a meno di comprare), finalmente oggi stringo per la prima volta tra le mani i miei Omamori, giunti direttamente dal tempio Todaiji di Nara, grazie ad un ragazzo di buon cuore.
Quelli in foto sono i miei due omamori: Anzan e Gakugyojoju omamori.
Scettica quali per costuzione stento a credere all’effettivo potere di questi amuleti che mi hanno sempre ricordato molto da vicino quei misteriosi sacchettini che le nostre bisnonne cucivano con tanta cura per preservare i bambini dal malocchio, al cui interno trovavano posto preghiere,immaginette sacre e pietruzze raccolte ai trivi delle strade. Una superstizione viva fino a pochissimi decenni fa, che poco ha di sacro,ma molto conserva in quanto a storie, miti e tradizioni ormai quasi dimenticate.
Con tutto il rispetto per la religione shintoista e per chi la professa, conservo quasi con la stessa sacralità i miei omamori, simbolo importante di un popolo ad una cultura così distante dalla nostra, spesso incomprensibile e che tanto fascino esercita sulla nostra fantasia.
Un omamori è questo. Un pezzo di Giappone nella mia stanza.